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“Un terribile amore per la guerra”

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Scorrendo i numeri dell’ultima edizione de l’Atlante delle guerre e dei conflitti ci sembra opportuno ricordare il titolo del libro di James Hillman, psicoanalista di scuola junghiana, secondo cui la guerra non è l’incarnazione del Male ma una costante dell’animo umano. Come quello di Patton. Generale d’acciaio che, nell’omonimo film, camminando sul campo di battaglia, fra distruzione, cadaveri e carri armati, esclama:

Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita.

Patton fu un furioso, brillante guerrafondaio della seconda guerra mondiale ma si troverebbe a suo agio in questo XXI secolo: 31 guerre, 108 milioni di persone in fuga dalla guerra (erano 20 milioni nel 2000!), 300 milioni i migranti in cerca di futuro.

Eppure noi, pacifici (?) abitanti dell’esclusivo club dell’Occidente ( vediamo tutto questo questo come fenomeno residuale, lontano, che non ci riguarda salvo di fronte all’impennata dei prezzi.

La guerra negli ultimi 2 anni è diventata sia nel linguaggio pubblico oltre che in quello degli specialisti militari e di geopolitica uno strumento accettabile e desiderabile per affrontare i conflitti. L’opzione negoziale, a cui ci si era affidati dopo gli orrori delle 2 guerre mondiali, è stata accantonata: troppo lunga, troppo sofisticata, troppo bisognosa di persone colte, intelligenti, capaci di comprendere le ragioni dell’altro.

E se l’Ucraina resistente all’invasione russa e Gaza “piallata” dai bombardamenti israeliani come rappresaglia dell’attacco di Hamas godono di una qualche quotidiana attenzione dei media, cadaveri mutilati e gli stupri nella Repubblica del Congo, del Sudan, i bambini che muoiono di stenti in Yemen sono invisibili, non detti, irrilevanti. Così come i troppi morti sulle rotte della “speranza” di una vita migliore: siano essi nelle Americhe, nel Mediterraneo, lungo le rotte balcaniche, nelle piazze iraniane o tunisine. Invisibili fino a quando non diventano ma utili per alimentare paure e facili consensi elettorali.

L’Atlante ci dice che esistono correlazioni precise fra guerre e dittature, fra democrazie fragili e violazioni dei diritti, fra cambiamenti climatici e migrazioni, fra repressione delle proteste e disuguaglianze. Lo testimoniano le accurate schede che. Paese per Paese, ci documentano le situazioni di crisi a bassa intensità o conclamate, le infografiche che aggiornano, anno dopo anno, le geografie della violenza, delle emigrazioni, della libertà (mancante) di informazione, dei giornalisti morti in prigioni o per guerra.

I pacifisti zittiti o derisi, i profitti in crescita della produzione di armi, le clamorose retromarce europee sul cambiamento climatico, la repressione di manifestazioni e dissenso sono però ormai anche “roba nostra”. Le risorse pubbliche sempre più utilizzare per sostenere guerre o riempire arsenali bellici stanno drenando quelle del magnifico welfare europeo. Dopo quasi 80 anni di pace dobbiamo prepararci a nuove dittature, ai diritti e al benessere solo per le élite, alla guerra in casa?

Nel 2024 la lettura dell’Atlante è davvero imperdibile.

“(la guerra) …è un’opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere

AA.VV, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Dodicesima edizione, Terra Nuova, 25€

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